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 Safeport, Marzo 2515

Un brusio indefinito. Inizialmente sente solo questo. Tenta di aprire gli occhi ma non ci riesce, sembrano incollati. La bocca è impastata. Le sembra di avere la testa più grande del normale. Molto più grande. Poi le voci vanno prendendo consistenza, suoni che iniziano a formare dei significati, nella sua testa. Stanno parlando in cinese. Non il mandarino forbito ed elegante a cui era abituata, ma la sua variante rimmer, molto più scandita e metallica.
"Si sta svegliando"
"Ha ancora plasma nella sacca?"
"Sì, metà. Le è stata cambiata durante l'intervento"
"Sbrigatevi, controllate se va tutto bene, ci serve il letto"
"Donna, apri gli occhi"
Stavolta si stanno rivolgendo a lei, lo sa. Tenta di nuovo di aprire gli occhi, non riesce. Prova a parlare, vorrebbe rispondere, ma emette solo un mugolio soffocato, come se le labbra fossero cucite tra loro.
"Apri gli occhi. Dobbiamo spostarti"
Stavolta stanno parlando in inglese, un inglese imperfetto e molto strascicato. Il viso si contrae impercettibilmente. Con uno sforzo ancora tenta di obbedire, e una lama di luce troppo forte le attraversa le palpebre.
"Controllate se ci vede, e se riesce a muovere le dita"
"Ci riesco" una voce impastata, che le risuona metallica nelle orecchie, ma è la sua. Sta rispondendo in mandarino, senza essersene resa conto. Ha anche mosso impercettibilmente le dita della mano sinistra. Anche della destra, ma è ancora abbastanza sedata da non avvertire il dolore che, altrimenti, l'avrebbe fatta urlare.
Apre gli occhi ancora, acquistando lucidità, o meglio presenza, perché quanto a lucidità...
"Che ore sono? Devo... devo andare" gli occhi sono del tutto aperti ora, ma la fronte a tratti si contrae. Tenta perfino di muoversi, per alzarsi, mentre borbotta in modo febbrile "Mi aspettano, devo..." Contrae gli addominali per sollevarsi a sedere, e il dolore, malgrado la sedazione che va attenuandosi, le mozza il respiro. Sgrana gli occhi e ricade indietro, quasi le avessero sparato per la seconda volta. Boccheggia.
"Dov'è? Vi guido io alla nave"
Una voce maschile, la riconosce.
"Hyena! Hyena!" chiama. L'uomo raggiunge la barella. Fiona si accorge solo ora di essere in movimento. Avevano iniziato a spostarla già da un po', ma non se ne era resa conto. Ha gli occhi spiritati quando li posa sul viso del guercio. "Harvey" domanda febbrilmente "Dov'è? Come sta?" sembra per lei di fondamentale importanza.
"Bene. Stanno tutti bene. Sei quella messa peggio" la informa senza complimenti e senza troppo calore l'uomo.
"Portami... al dock 48. Devo... Devo..."
"Devi stare zitta e startene giù buona" perentorio.
"Devo andare da Oxossi cazzo" ormai sta conversando in inglese, la pronuncia strascicata rimmer resa ancora più strascicata da quell'anestesia che sembra non volerla liberare.
Il guercio non le risponde. La sballottano, la stanno caricando su un mezzo. Anche il guercio sale lì dietro.
"Dobbiamo parlare... devo partire"
"Ma dove cazzo vuoi andare? Sei viva per miracolo"
"Greenfield..." un soffio, gli occhi improvvisamente smarriti di chi capisce che non c'è niente da fare. L'altro sbuffa ironico, o spazientito, scrollando la testa.
"Ma io devo andare, accidenti, devo..." le sente subito, scaldare e bagnare gli angoli degli occhi, rigarle le tempie. Lacrime di rabbia, di impotenza, che non riesce a fermare. Strizza le palpebre e gira il viso dalla parte opposta, scivolando nel silenzio, tra gli scossoni di quel rottame che la sta portando verso l'Avenger di Black.

Posted by Me | alle 03:01

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